Overspeed
Quando il naufragio diventa monumento
Il 10 marzo 2012 un overspeed causava l’incagliamento della nave petroliera Gelso M quando il suo comandante, nel tentativo di fronteggiare i marosi agitati da venti inconsueti, ne mandava il motore dell’elica fuori giri. La nave, senza forza motrice e spinta dalla mareggiata, si arenava sugli scogli di pietra bianca di Siracusa, nei pressi di Capo Santa Panagia.
Overspeed, infatti, significa andare fuori giri, e ciò accade quando si tenta di superare il limite massimo delle potenzialità di un motore.
Il 15 marzo ho realizzato questo reportage intorno alla costa siracusana che in quei giorni, quieti dopo la tempesta, cominciava a riflettere i primi raggi della primavera, e dove lentamente il Gelso M. sembrava assumere i colori di un involontario monumento del nostro tempo.
A chiusura di una piccola mostra fotografica, curata da Salvatore D’Agostino nel giugno 2013 per l’apertura della nuova sede di Pekstudio (associazione culturale e studio di architettura che la ha ospitata), Chiara Rizzica ha scritto: “Overspeed è una serie di sedici scatti che ritraggono la petroliera Gelso M – arenatasi l’anno scorso nei pressi di Capo Santa Panagia (Siracusa) a causa di un’avaria al motore – lì dove la mareggiata l’ha spinta contro gli scogli e dove ancora giace, piegata su un fianco. La mostra presenta l’intera sequenza proiettata su una cortina bianca in una delle stanze della foresteria e un trittico (stampe a colori di 60×90 cm) collocato nella hall dello studio. L’intervento investe così sia lo spazio privato al primo piano che quello pubblico, bianco e immacolato di una parete al piano terra in cui il trittico campeggia, scomposto ad arte per ricostruire una linea d’orizzonte continua altrimenti spezzata.



Ed è forse la rappresentazione ostinata della continuità della forma – che sia linea, superficie o sagoma, oppure massa – il tratto più convincente di quest’ultimo lavoro di Gozzo per l’occhio di un architetto. Rispetto alle indagini precedenti concentrate sulla rappresentazione del paesaggio come scenario perfetto, Overspeed sembra spingersi un passo avanti nella direzione di una ricostruzione di una visione inclusiva degli scenari multipli della complessità della città e del territorio attuali, già anticipata nella serie Printed Talks In The City, dove il soggetto apparente – un’istallazione di arte tipografica realizzata a Milano – faceva da schermo per ritrarre indirettamente una città tanto inedita quanto reale, attraverso il racconto di quel che compare e scompare sui suoi muri.
In Overspeed il soggetto non è uno o più scenari, ma un oggetto finito, ancorché iconico: il relitto.

Viene ripreso continuativamente dall’alba a giorno fatto, prima da un punto di vista collocato in mare – quasi, e viene da pensare al racconto di Marquez, quello di un naufrago che va alla deriva su una zattera – e poi da terra, da quel tratto di costa rocciosa al limite nord della città di Siracusa, la Targia, che si affaccia improvvisamente sulla scena del naufragio, proprio lì dove si apre il golfo di Augusta con al centro lo stabilimento petrolchimico e il suo paesaggio metallico (come la nave).



Il variare delle condizioni di luce e della posizione del punto di vista restituiscono immediatamente la dimensione narrativa del progetto, del suo voler essere testimonianza, così come indicato nella nota del curatore, “del nostro tempo” e del suo tentativo di assumere la dimensione di una rappresentazione ieratica, monumentale, delle alterne vicende di prosperità e decadenza di questo territorio delle raffinerie, condensate in un unico eroico momento-monumento: il naufragare che si ripete ogni giorno uguale a se stesso e diventa paesaggio. Ma è l’approfondimento di alcuni dettagli figurativi che, a mio avviso, costituisce il punto di interesse maggiore, rintracciabile in alcune scelte compiute dal fotografo.

La nave inclinata su un lato, con parte della chiglia a vista, è sempre ritratta insieme a quella parte di paesaggio che ne completa la forma: lo skyline della città, il profilo della balza rocciosa, la sagoma del golfo, la figura del vulcano Etna; il relitto nella sua posizione anomala e incidentale è sempre inquadrato rispetto ad una linea d’orizzonte ben definita attraverso la contrapposizione: tra mare mosso e terraferma, tra acqua e cielo, tra nave e paesaggio naturale.



Scelte che produrrebbero una rappresentazione prospettica smaccatamente immobile se non fossero puntualmente controbilanciate dall’insistere dello sguardo dell’autore ora sul mare, color petrolio e mosso all’alba, cristallino e cheto al mattino, ora sul suolo poroso della costa calcarenitica, che in molte immagini guadagnano più della metà della scena.
Salvatore Gozzo ci consegna dunque una rappresentazione prospettica “quasi rinascimentale” dello spazio del paesaggio, in cui è il pavimento – ora liquido, ora solido (ed è qui l’invenzione) – a restituire la profondità della scena e in cui è la relazione di misura tra i vari elementi – la nave, la città, la costa e il mare – a segnalare, forse, la scala di valori estetici e di senso proposta dall’autore. Una scala da architetto”.

Freelance project
Landscape
Siracusa, Italia
2012
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